Le risposte sincere degli Antartica alle nostre domande sbagliate – Intervista
DI SIMONE DE LORENZI
Qualche soddisfazione, nei tre anni della loro esistenza, gli Antartica possono dire di essersela tolta: i primi singoli sono stati salutati con affetto e partecipazione dai nuovi fan, nell’aprile 2021 Clinica è stata selezionata da MTV come canzone emergente del mese, hanno guadagnato le copertine di importanti playlist editoriali e avuto la possibilità di suonare con artisti del calibro di Rovere, Margherita Vicario, Le Endrigo, bnkr44.
Infine hanno fatto il loro – tanto atteso – debutto discografico: è dello scorso luglio l’EP d’esordio Risposte sincere, domande sbagliate, in cui la band vicentina racconta delle battaglie con la propria testa in mezzo a treni persi, feste banali e locali affollati; il tutto trovando un proprio stile caratteristico, che spazia tra indie pop, pop rock e pop punk. Abbiamo fatto un’intervista agli Antartica a Reggio Emilia, poco prima che salissero sul palco dell’Iren Green Park per aprire il concerto dei Rovere.
Parto con una domanda sbagliata, voi datemi una risposta sincera. Nelle ultime due settimane siete stati la copertina di Rock Italia su Spotify; ve la siete meritata?
Samuel: Se ci siamo arrivati sì.
Pinfes: Magari c’è qualcuno che se lo meritava di più, qualcuno che se lo meritava di meno. Abbiamo fatto veramente fatica, è stata un po’ una ciliegina sulla torta che secondo me ci meritavamo.
Fish: Noi partiamo da tanto indietro, per cui è una cosa abbastanza inattesa. È quel tipo di riconoscimento che non sai se ti meriti; ti dà la carica, ti fa pensare di star facendo qualcosa che ha senso.
Pinfes: È un po’ una conferma del fatto che effettivamente a qualcuno stai piacendo.
E in precedenza siete stati anche la copertina di Scuola Indie. Come riuscite a equilibrare le due componenti, quella più indie pop e quella più rock/pop punk?
Fish: È un work in progress anche per noi, ci accorgiamo di fare delle uscite che a volte non riusciamo a collocare. È difficile darci un’etichetta definita e questa cosa ci gasa; dall’altra parte potrebbe essere limitante, oppure una problematica, agli occhi di qualcuno, e sicuramente ha dei lati negativi. A noi comunque le etichette stanno strette, come a tantissimi, quindi adesso non abbiamo voglia di essere una band rock o una band indie.
Samuel: Anche perché in studio siamo una cosa e poi live siamo leggermente un’altra, magari un pochino più aggressivi. Ci capita di fare delle demo che hanno più versioni proprio perché hanno sia una parte che l’altra e alla fine si decide per quella che suona meglio. Non abbiamo pressioni.
Fish: Però siamo super influenzabili dalle persone che lavorano con noi. Quindi se arriverà qualcuno e ci spiegherà bene perché dovremmo essere rock o indie…
Samuel: A noi la categoria “rock” fa anche un po’ ridere: i chitarroni che abbiamo noi sono più pop punk, ma per il panorama italiano è considerato rock.
Pensate che ai vostri ascoltatori interessi di queste etichette?
Pinfes: Secondo me è una cosa che si riscontra non tanto nel genere, più nell’età: è difficile che a una persona piaccia solo un genere di musica e magari proprio col fatto che ci troviamo a metà riusciamo a toccare più corde della gente.
Fish: È il discorso di prima, ha pro e contro: il pro è che riesci a colpire un target molto più ampio, perché gli dai qualcosa che trovano in un genere ma non in un altro e li avvicini a qualcos’altro.
È più facile avvicinare il fan di Gazzelle ai Modern Baseball o il punkettaro ai Pinguini Tattici Nucleari?
Pinfes: Il fan di Gazzelle, perché è più facile gasare una persona piuttosto che, una volta che ha sentito il gaso, dirgli “Okay, però adesso devi stare tranquillo”.
Samuel: Però anche lì dipende dall’età. Più cresci con l’età, più in sostanza ti adegui a decibel minori.
Fish: Alcuni ragazzi che ci seguono, giovani, ascoltano qualsiasi cosa, mentre qualcuno della nostra età è già più fossilizzato. Anche noi quattro abbiamo dei background forti, ben identificati però non troppo diversi, e questo ci permette spesso di far uscire parti di noi nei vari pezzi.
Infatti con Turnover è venuta allo scoperto una delle influenze della band. Come mai in maniera così esplicita, diventando addirittura il titolo? È un riferimento che non tutti possono aver colto, specie gli ascoltatori più legati alla scena indie italiana.
Simone: Originariamente il titolo della demo era Turnover perché ci eravamo ispirati un pochino a quel sound là. Poi siamo andati in studio e l’abbiamo tenuto, forse anche nella speranza che qualcuno vada ad ascoltarli. È figo far sentire le proprie influenze.
Pinfes: Non che i Turnover abbiano bisogno dei nostri ascoltatori. Però è stata una chicchetta che ci ha fatto piacere riuscire a inserire. Anche quando abbiamo proposto i titoli ci hanno detto che era figo.
Samuel: In qualche modo filava non solo a livello di sound, di reference, di vibes, ma anche come testo.
Pinfes: Riesci a capire che la partenza era quella. Poi il sound è cambiato, chiaramente, se no saremmo i Turnover.
Fish: Comunque uno che non capisce la citazione ci arriva che potrebbe essere collegato al testo.
I vostri testi rispecchiano un certo pessimismo, mentre il sound è spensierato e scoppiettante. Cosa c’è dietro questa scelta?
Samuel: Secondo me non siamo in grado di fare un testo felice come si deve e non siamo in grado di fare una canzone depressa come si deve.
Simone: Ci piace parlare di argomenti un po’ più tristi perché alla fine ci riguardano, siamo persone abbastanza facilmente rattristabili. Però allo stesso tempo siamo cresciuti con delle influenze “calde” – tipo il pop punk americano – che avevano un sound molto energico; e in più anche loro, comunque, parlano spesso di temi tristi. Siccome l’indie, al tempo in cui avevamo iniziato, era molto basato sulla tristezza anche musicale, abbiamo detto “Proviamo a portare una roba nostra, che sia un po’ più energica”.
Fish: Un po’ rispecchia la nostra personalità, spesso ironizziamo sulle cose che ci fanno soffrire: è un po’ così anche nelle canzoni. Ci gasano le canzoni felici, però poi quando ti metti a scrivere un testo e lo vuoi scrivere in maniera accettabile devi comunque parlare di te. Noi comunque vogliamo essere felici, non vogliamo essere dei depressoni; non ci piace l’artista depresso.
Lo fate anche un po’ per esorcizzare le situazioni sconfortanti?
Samuel: Sì, spesso ci guardiamo in faccia e ci diciamo: “Non facciamo gli sfigati, le vittime, quelli che si piangono addosso, perché non lo siamo nella vita”. Anche perché tre di noi vanno in terapia, affrontano molto i loro problemi, quindi in realtà sappiamo di quello che parliamo; non sono così oscure quelle zone della nostra testa. Riesci a essere consapevole e coerente con quello che senti, quello che sei e in questo modo riesci a tirare fuori sia il lato molto pesante, sia quello molto ironico.
In Vento cantate “Tanto poi cresceremo, rideremo di queste pare”. Lo dite per scaramanzia o ci credete veramente?
Fish: A volte le pare che hai sono sminuite dalla gente – è anche un bene che succeda – e questa è una frase tipo: “Ma che te ne frega? Tanto dopo…”. In parte è così, penso anche a quante pare mi facevo ai miei tempi della scuola e adesso ripensandoci… però è probabile che rideremo di quelle vecchie ma ne avremo di nuove, quindi è un circolo vizioso.
Per concludere, fate una domanda sbagliata ai lettori di TBA Magazine.
Simone: Sei davvero felice della tua vita?
Fish: Cos’è che ti fa stare male?
Pinfes: Sei sicuro vada tutto bene?
Samuel: Come stai?
Gli Antartica sono in tour per presentare il loro album Risposte sincere, domande sbagliate:
3 settembre @ Associazione Andromeda M31, Padova
10 settembre @ Discover Days, Parco Sorgenti del Castello, Castel D’Azzano (VR)
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