Elephant Brain: “Vi diamo queste Canzoni da odiare, odiatele insieme a noi” – Intervista
DI SIMONE DE LORENZI; FOTO DI STONKS PRODUCTION
Al loro secondo disco Canzoni da odiare, pubblicato l’11 novembre scorso, gli Elephant Brain sono un nome ormai consolidato all’interno del panorama alternative rock italiano. Nonostante il poco spazio live concessogli dalla pandemia, il gruppo è riuscito a collezionare concerti in apertura ad artisti come Ministri, Giorgio Canali, Zen Circus, Punkreas, Fast Animals and Slow Kids e Cosmetic.
Nei camerini di un Covo Club sold out abbiamo intervistato quattro su cinque ragazzi – mancava all’appello il chitarrista Emilio, all’estero per lavoro – della band perugina, stupita ed emozionata dalla quantità di band che sono passate per quel palco, testimoniate dai numerosi sticker alle pareti.
L’intervista che avevamo fatto in occasione del vostro disco precedente si apriva con delle considerazioni sulla difficoltà di uscire dal vostro territorio di partenza. Come sono andati questi due anni? Siete riusciti a non rimanere confinati a Perugia?
Sì, ma grazie a quelli del booking, che sono dei folli e continuano a credere in noi, a farci suonare e a pensare che far suonare gli Elephant Brain in giro sia giusto: Alessandro Baccoli in primis, Dario Guglielmetti, Stefano Morandini, tutta la squadra di Tube. Per noi, nel periodo dopo quell’intervista, si è aperta una voragine devastante che poi ha portato anche alla scrittura di Canzoni da odiare. Quindi in quel momento di chiusura estrema e negazione di tutto quello che avevamo fatto, il lavoro che c’è stato dietro Niente di speciale pensando ai vari concerti in giro si era polverizzato; però da lì siamo riusciti a rigettare un po’ le basi, costruendo con questo nuovo lavoro le premesse per ritornare a suonare. È stato veramente incredibile quando, la prima volta che abbiamo fatto un concerto dopo il covid, a Ferrara, dopo un anno che era uscito Niente di speciale abbiamo visto che c’erano delle persone che se l’erano ascoltato e cantavano le canzoni.
Niente di speciale, Canzoni da odiare… come mai avete dato ai vostri album dei nomi negativi?
In realtà non sono negativi. Quello di cui parliamo nei pezzi di Niente di speciale non è “niente di speciale”, appunto: sono le nostre quotidianità, che sono fondamentalmente quelle di tante persone che come noi hanno trent’anni. Parliamo di quello che è la normalità, quello che viviamo, anche perché alla fine per scrivere un pezzo e parlare di una determinata cosa la devi vivere e noi in quel momento vivevamo quello e abbiamo parlato di quello. Invece Canzoni da odiare è in verità un po’ triste come titolo, però questo è quello che realmente ci è successo. Sono canzoni che realmente abbiamo odiato, per il semplice fatto che noi siamo abituati a scrivere vedendoci in sala prove, provare i pezzi fra di noi e invece li abbiamo concepiti tramite Google Drive, a distanza: avevamo i provini, uno entrava, registrava – dovevamo fare così per forza.
E poi perché questi pezzi che scrivevamo non li potevamo comunque suonare. Anche nell’estate del 2021 non si suonava tantissimo: c’era una ripresa, ma molto timida; non è come adesso, era davvero un periodo da odiare. E allora anche queste canzoni alla fine le abbiamo odiate. Effettivamente possono sembrare due titoli negativi o d’impatto o anche sminuenti per il lavoro che uno fa. Poi in realtà se approfondisci vedi che dietro la non specialità di Niente di speciale c’è la quotidianità che cerchiamo di vivere e poi di condividere con tutte le persone; in Canzoni da odiare c’è un sentimento che è sì negativo, che però per noi ha voluto dire affrontare quel periodo di merda lì, anche odiarlo, ma non lasciarlo passare fregandocene, facendo finta non stesse succedendo niente di importante.
Sembra che consegniate al pubblico queste canzoni affinché anche loro le odino.
Fondamentalmente è questo. Vi diamo queste canzoni, odiatele insieme a noi: noi le abbiamo odiate, quindi voi dovete fare lo stesso. Che poi nell’ascoltatore “odiare” può essere tante cose.
Entrambi gli album mettono a tema la crescita e il cambiamento. Avete concepito Canzoni da odiare come un proseguimento di Niente di speciale? Qual è il legame tra i due?
È un continuo e non poteva essere altrimenti, per il semplice fatto che fondamentalmente non c’è stato modo di evolversi e parlare di altro: uscito Niente di speciale noi ci siamo chiusi in casa, quindi tutti gli anni che ci abbiamo messo per concepirlo sono stati un po’ bloccati. Per cui Canzoni da odiare doveva per forza essere un continuo di questo: le nostre vite sono continuate all’interno della pandemia e dopo la pandemia. Anche a livello sonoro è molto simile; forse afferma di più su dove vogliamo andare, però riconosciamo da noi che non c’è questa grande differenza. L’evoluzione del suono viene anche dal suonare e crescere insieme in sala prove e dal suonare live.
La vostra musica racconta di un presente, ma pare proiettata verso il domani. Niente di speciale si apriva con Quando finirà, Canzoni da odiare con Mi sbaglierò: usate molti verbi al futuro, non solo nei titoli, ci avete mai fatto caso?
Non è una cosa consapevole, ma ci avevamo fatto caso. Forse è perché nel momento in cui si scrive una canzone si cerca di concretizzarla, di immaginarla sul palco e quindi pensiamo a questo aspetto: a come sarà, come andrà, come apparirà agli occhi dell’ascoltatore sul palco. Ci emoziona il futuro: è una cosa che senti a pelle, significa qualcosa, evoca. Comunque è un disco che parla sì del presente, ma non parla di pandemia: è stato scritto nella pandemia e in qualche modo ne risente, ma non parliamo mai dei problemi della pandemia; non è stato scritto nella pandemia perché non sapevamo che cosa fare, è stato scritto perché in quel momento c’era quello. Mi sbaglierò era la voglia di ritornare sui palchi e quindi ha quel senso lì: “Stringeremo ancora una chitarra in mano per altre mille notti”. È un po’ il motore di tutto, immaginarsi come sarà. In copertina ci sono tre bambini che mangiano un panino, molto spensierati, quando in verità i pezzi parlano di cose da grandi: ci piaceva un po’ esorcizzare questo fatto.
Nel videoclip di Come mi divori compare un libro del poeta perugino Sandro Penna: ha avuto una qualche influenza sulla scrittura delle canzoni?
Sì, nel senso che in Sandro Penna ci abbiamo visto la febbre, l’urgenza di dover comunicare qualcosa – infatti il libro era Un po’ di febbre. Poi noi perugini ci teniamo molto alla comunità, alla scena di Perugia: la viviamo come una famiglia, quindi lo sentiamo come il nostro poeta. Era anche per non dimenticarsi di certe figure che sono state importantissime a livello letterario; nel video c’è un altro easter egg che abbiamo voluto far comparire: il libro Rimini di Pier Vittorio Tondelli. È anche il concetto di Canzoni da odiare, se vogliamo: contrastare l’indifferenza che può esserci nei confronti di certe figure che hanno lasciato un’eredità. Molto spesso le influenze, sia musicali che artistiche, non sono riconducibili a un testo specifico perché ognuno di noi nel processo creativo porta i suoi ascolti, le sue letture; poi non cerchiamo di rendere troppo personali le canzoni: il lavoro di decostruzione che facciamo insieme è far sì che la canzone rispecchi un po’ il pensiero di tutti e cinque noi che scriviamo.
Mi ha colpito una frase di Quel che resta: “rivogliamo l’arte che non sia una colpa”. Si riferisce a questi ultimi anni in cui la musica, tra le altre arti, è stata messa in disparte?
Fondamentalmente sì. Poi non si limita a quello, perché non è che prima della pandemia godesse di una salute estrema e tutti fossero convinti che fare il musicista fosse un lavoro vero. Diciamo che la pandemia ha un po’ allargato il ragionamento su questo fatto, è stata un po’ come una lente d’ingrandimento, nel senso che ha portato a dire “la musica è a questo punto” – la musica, l’arte in generale, qualsiasi cosa vista come una perdita di tempo. Era una cosa che non volevamo nascondere, che in quel momento si viveva sulla nostra pelle, ed è finita sul pezzo.
Appena dopo dite “rivogliamo vivere senza certezze”. Venite da un periodo in cui certezze non ne avete avute: non è in contraddizione con quanto affermate in Anche questa è insicurezza? Come si conciliano certezze e insicurezze?
Nel voler vivere senza certezze in realtà c’è un po’ il vivere nella libertà, senza costrizioni: molto spesso ci circondiamo di alcune sicurezze che diventano comodità, che però ti impediscono di fare quello che vuoi realmente fare perché sei ancorato a quella cosa lì. E l’insicurezza è rendersi conto di una condizione umana nostra che ci accomuna e che non deve essere nascosta.
Qual è stata la scelta dietro all’intro e all’outro? È per valorizzare la forma-album?
Sicuramente è per questo. Non è per allungare il brodo, perché sempre sette pezzi sarebbero stati e realmente sono; ed è anche giusto che sia così, perché Canzoni da odiare è un periodo. Comunque siamo dei romanticoni: l’intro e l’outro erano un po’ per valorizzare il disco: mi ascolto il disco intero, che ha un’intro e un’outro, non come nell’epoca digitale in cui li puoi saltare; fanno parte del disco, ha senso che siano messi lì in quel punto. E poi su Mi sbaglierò ci immaginavamo l’intro del concerto in quel modo, con la chitarra che arriva e poi si parte e si fa festa insieme. Sembrava ci fosse proprio il bisogno di avere un momento per caricarci, prima che iniziasse subito un pezzo, che ci fosse un momento in cui potevamo entrare dentro al disco; e l’outro un po’ per digerire tutto.
Gli Elephant Brain sono in tour per presentare il loro album Canzoni da odiare:
28 gennaio 2023 @ Funky, Benevento
18 febbraio 2023 @ Largo Venue, Roma
24 febbraio 2023 @ Home Rock Bar, Treviso
3 marzo 2023 @ Urban, Perugia
4 marzo 2023 @ Lattepiù, Brescia
9 marzo 2023 @ Bottega26, Poggibonsi (SI)
11 marzo 2023 @ Locomotiv Club, Bologna
18 marzo 2023 @ Bocciodromo, Vicenza
Potete seguire gli Elephant Brain su Instagram, YouTube, Bandcamp, Spotify e Facebook.
Oltre all’intervista agli Elephant Brain, potete leggere tutte le nostre interviste a questo indirizzo!
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