Dischi Decenti e troppistruzzi

Supportare la scena dal basso / Intervista a Dischi Decenti e troppistruzzi

DI SIMONE DE LORENZI

Nel panorama musicale di oggi esistono realtà che operano all’insegna del DIY e lontano dalle logiche del mercato mainstream. È il caso di Dischi Decenti e troppistruzzi, etichette discografiche “piccole, indipendenti, monopersonali” che non contano più di quattro o cinque uscite in un anno e animano una scena emo particolarmente attiva e vivace nelle sue sfaccettature. “Sicuramente è un buon momento. Ci sono tanti collettivi, dalla Puglia a Torino, che danno idea della salute della cosa; c’è molta gente che non solo ha voglia di fruire ma anche di organizzare”.

Dischi Decenti nasce nel 2016 e vanta release di band come Maremarcio, flowers&shelters, Eremo, Renàra. Prende forma “quasi per scherzo” da un’idea di Karim, batterista dei fu Batièn, per accogliere il secondo EP del gruppo: “Ho realizzato che molto spesso le etichette non erano entità enormi fatte di soldi e persone, ma singoli individui che si sbattevano per stampare il disco”. Il nome fa riferimento a una gag interna al gruppo, ma negli anni la decenza ha finito per delineare un certo tipo di pensiero e un determinato modo di attuarlo: “L’idea è di fare tutti qualcosa nella media; senza eroi, senza che nessuno faccia troppo, senza che ci sia un idolo della situazione o il capo che traini la baracca”.

Quattro anni dopo Vincenzo dà vita a troppistruzzi, che tra le sue uscite annovera band come MEO, 1000voltegatto, Mal di mare, alGot. Il progetto nasce da una volontà semplice: contribuire attivamente alla scena. “Ho preso la palla al balzo per vedere un po’ come funzionano queste cose in prima persona, tecnicamente. Ho iniziato a stampare in casa i primi dischi”. Il nome, ispirato a una scena dei Griffin, “non dice molto sull’etica; però lo slogan è «Dischi puzzolenti»: significa che sono fatti in maniera non convenzionale, non per forza in uno studio di registrazione e stampati in tipografia. Personalmente la ricerca è un aspetto molto importante: studiarsi da zero come vengono fatte le cose, provare a farle da soli e poi avere un risultato completamente originale”.

Karim racconta cosa succede dietro le quinte del loro lavoro: “Il nostro contributo è inizialmente nella stampa delle copie fisiche, nella pubblicazione e nella diffusione del disco; e poi nel nostro caso organizziamo parte delle serate a cui suonano i gruppi, direttamente o indirettamente. Facciamo tutto in una dimensione molto do it yourself”. Al centro sta uno spontaneo rapporto di fiducia con gli artisti, che non cercano di influenzare: “In generale il gruppo ha molta libertà e spesso si asseconda la loro volontà. La musica e il modo in cui farla venire fuori sono della band, tu cerchi solo di entrare in sintonia con loro e fare le cose assieme nel modo migliore”.

È chiaro che atteggiamenti di questo tipo li lasciano lontani dai giri di soldi delle grandi label. Vincenzo approfondisce: “L’etichetta grossa, nel momento in cui dà i soldi per la registrazione del disco, si becca una parte di diritti per le canzoni e guadagna sugli ascolti. Cosa che nel nostro mondo non avrebbe senso”. Karim è d’accordo: “Io ti vendo un disco e con quei soldi ci pago altri dischi da stampare. Non mi sognerei di chiedere i diritti dei pezzi al gruppo che li scrive. Per me la questione è diffondere un modo di fare le cose, a prescindere dal genere musicale”.

L’ultimo album a cui hanno lavorato è il self-titled d’esordio degli Stegosauro, EP per il quale hanno collaborato con To Lose La Track, Friend of Mine, Longrail, È un brutto posto dove vivere e 1a0: Spesso i dischi di questo giro sono pubblicati a nome di più etichette perché le spese superano le possibilità di una singola e quindi sono tutte co-produzioni, tranne rarissimi casi. Ti dà l’idea dello sforzo di un gruppo di persone per stimolare certi progetti. È un po’ un darsi una mano”. Riassume bene Vincenzo: “È come se le etichette fossero un contenitore dei modi che noi abbiamo dal basso di supportare i gruppi”.

E uno dei modi che hanno messo in pratica è quello dei live. Nel 2021 troppistruzzi e Dischi Decenti si sono uniti per organizzare concerti nei meandri della Bologna underground – tra il Freakout Club e il Circolo DEV – dando vita a ‘Struzzi Decenti’. Le serate, che hanno una cadenza più o meno bimestrale, proseguono idealmente l’esperienza de ‘La Notte Accettabile di Dischi Decenti’, ideata da Karim e conclusasi nel 2018. “Ho iniziato Struzzi Decenti dopo il covid, insieme a Vincenzo: non amo molto fare le cose da solo, perché non mi piace essere quello al centro; la possibilità di fare le cose con qualcun altro mi dà sollievo”.

L’obiettivo è sempre quello di sostenere la musica che reputano meritevole, senza guardare ai fini economici. Coerenti con questa etica, l’ingresso alle serate prevede un prezzo accessibile, anche se Vincenzo ricorda che “c’è stato un periodo in cui le Notti Accettabili erano up to you e Karim si è sentito in colpa per aver messo il biglietto di Struzzi Decenti a 5 euro”. Sul loro palco accolgono nomi conosciuti (Øjne, Radura, Lantern), ma anche emergenti (Reverie, Leita, Put Pùrana) ed esordienti (Amico Infinito e Noverte). “L’ideale sarebbe che uno venisse anche se non li conosce, ma perché ormai si fida. Chiamiamo i gruppi che ci piacciono, cercando di avere quasi sempre qualcuno che abbiamo pubblicato noi”.

L’apporto alla scena di questi due ragazzi è significativo, ma loro mantengono il profilo basso: “Noi non siamo nessuno, non ce la possiamo tirare” (al contrario di quanto fanno altri personaggi dell’ambiente musicale). “Le persone si prendono troppo sul serio, è una cosa che rende difficile la comunicazione; spesso ti trovi ad avere a che fare con un muro fatto di apparenze. È anche per quello che facciamo i cazzoni”. Allora mi correggo: il loro apporto alla scena è preziosamente mediocre.


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In copertina: i Put Pùrana al Freakout Club durante StruDec #8. Foto di roger_cmpst.


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