L'ennesimo, Tratto da una storia vera

L’ennesimo: “la musica è un’idea, deve avere anima” – Intervista

di Alessandro Mainini

L’ennesimo è il nome d’arte (quasi un manifesto della modestia e dell’accettazione dei propri limiti) di Paolo Pasqua, eclettico artista cosentino che ha già vissuto in varie parti d’Europa e frequentato parecchi generi musicali: se la sua musica è il risultato degli ascolti maturati nel corso della sua vita, noi ci sentiamo influenze molto disparate, dall’emo dei bei tempi che furono alla trap d’oggigiorno, dal pop punk dell’epoca d’oro (se state attenti all’outro della traccia finale potete sentire un’eco di What’s My Age Again) all’indie che ha tenuto in piedi la musica italiana negli ultimi anni.

Tratto da una storia vera è il nome dell’album d’esordio di L’ennesimo, uscito il 23 ottobre per La lumaca dischi. Otto canzoni per un disco che si chiude in meno di mezz’ora, un ascolto che non è solo piacevole ma anche vario, di quelli che tanto i ragazzi dell’indie quanto i fan dell’alternative-underground si troverebbero a proprio agio a condividere sui social per mostrare quanto sono aperti e raffinati i propri gusti musicali. Insomma, quello che voglio dirvi è che sia che ci foste ai sudati concerti d’addio dei Cabrera lo scorso anno, sia che il vostro ideale di concerto sia il Woodoo Fest, L’ennesimo ha una canzone da inserire nelle vostre playlist. A dirvi il resto ci pensa direttamente lui in questa bella intervista che ci ha concesso.

Il tuo disco è stato scritto in un paesino di trecento anime del Connemara, in Irlanda, dove hai soggiornato per otto mesi. Ci dici come si chiamava il paesino e che tipo di esperienza hai fatto in quella terra meravigliosa?

Il paesino, o meglio villaggio, si chiama Cong. Un’esperienza bella, fatta di lavoro, verde incontaminato, solitudine, sogni da tenere in vita e aerei da prendere. Venni assunto in un hotel famoso di quella zona; era praticamente un castello rifatto a hotel. Letteralmente un castello in mezzo alla foresta, affacciato sul lago con centinaia di dipendenti. Vivendo lì ebbi la possibilità di concentrarmi, staccare con la musica italiana per una po’, cambiare ascolti e finire di scrivere questo disco.

Pensi che vivere all’estero ti abbia fornito una diversa visione, un diverso approccio a come vedi il mondo della musica, oppure secondo te in questo senso è stata più importante la frequentazione degli ambienti musicali nostrani?

Non mi ha cambiato tanto il posto di per sé, anche perché in Irlanda nella maggior parte dei casi va molto la musica tradizionale. Il posto in cui ho vissuto è stato utile per staccare con l’ambiente italiano che mi risucchiava troppo a livello di ascolti e di attenzione. Lì grazie ad ascolti diversi ho conosciuto meglio il rap, la trap e l’elettronica. L’approccio alla musica che ho oggi è frutto di circa dieci anni di esperienze diverse avute qui in Italia.

“Sei anni in una band, ma era solo rumore”. Raccontaci qualcosa di più sul tuo percorso musicale che ti ha portato fino a questo disco.

I primi approcci con la musica furono alle medie. Non andavamo a scuola per suonare la chitarra tutto il giorno, e se a scuola dovevamo proprio andarci, ci incontravamo venti minuti prima di entrare per suonare. Poi nel 2010 iniziai a suonare in una band qui nella mia città, facevamo una sorta di emo-pop/alternative. Avevo quindici anni, erano anni strani, non sapevo bene cosa stesse accadendo quando iniziai a suonare con loro, non avevo nemmeno mai visto un concerto quando feci il mio primo live; sapevo solo che mi piaceva tanto quello che suonavamo e come reagivano le persone. Suonammo insieme in varie formazioni per sette anni. Poi, finito tutto. Un’enorme quantità di sogni, bisogni creativi, sforzi buttati nel cesso.

Ma per me la musica è sempre stata vita, posto in cui ritrovarmi, quindi passò poco tempo e iniziai a scrivere le prime canzoni da solo come L’ennesimo, registrai il mio primo demo e feci il giro dei festival indie nel 2017 per lasciarlo ai vari promoter e artisti del momento. Sul demo c’era anche il mio numero. Non mi chiamò nessuno, ma Calcutta si fece una foto con il mio disco e la postò sotto uno stato che scrissi su Facebook. Non mi scoraggiai e verso la fine del 2017 racimolai dei soldi e lo registrai professionalmente da un amico fonico, lo pubblicai da indipendente e mi trovai in un minitour in Italia, suonai con Gazzelle nella mia città, conobbi tanta gente, insomma gli anni dell’indie furono molto divertenti.

Poi la vita, con la sua violenza e la sua ironia, mi portò in un viaggio di un anno, dove lavorai tanto e decisi, non appena tornato in Italia, di andare a Milano per registrare il disco da Federico Carillo. E ora eccoci qui.

Nell’album si sente una miriade di influenze da generi disparati come indie, trap, emo, punk… credi che ci sia una sorta di necessità in questi anni di esprimere la propria creatività senza andarsi a stringere all’interno di un solo genere (come di norma avveniva solitamente in passato), o lo vedi più come una casualità?

Credo di sì, la fruibilità della musica ha reso tra le tante cose anche i generi più liquidi.  Poi dentro di me ci sono tanti tanti ascolti che quando creo cercano sempre di uscire. Ho provato a dare spazio a tutto, senza perdere di vista il senso del disco.

Per un certo periodo di tempo negli anni 2010 sembrava che il mainstream avesse completamente scordato l’esistenza degli strumenti musicali, in favore di brani interamente realizzati al computer. Ultimamente invece le nuove leve, anche a livelli alti, stanno sempre più proponendo musica che vede l’uso di strumenti reali (soprattutto chitarre) affiancati al digitale. Cosa pensi sia cambiato nell’approccio alla composizione e alla musica negli artisti della tua generazione rispetto a qualche anno fa?

Non saprei… posso dirti cosa è successo per me però. In una parola: computer. Il computer, la possibilità di arrangiare da zero un brano semplicemente con una tastiera midi, per un creativo sono possibilità meravigliose. Però sono sempre più convinto, soprattutto dopo quest’esperienza, che una canzone debba nascere in modo chiaro su uno strumento, piano o chitarra nel mio caso, e che si debba passare poi all’arrangiamento sul computer. La musica è un’idea, deve avere anima, non può essere solo computer.

Quali sono il momento e il luogo perfetti per ascoltare il disco di L’ennesimo secondo te?

Prima di andare a dormire, luci spente, a letto. Magari con chi amate.

Se e quando saremo in grado di curare il covid o avremo trovato un vaccino sicuro ed efficace, come ti aspetti che sarà il ritorno alla normalità dei concerti? In generale e anche nel tuo caso particolare.

In generale spero di suonare un sacco. Via, gnam!


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