Dani Macchi, foto

Cosa fa davvero un produttore musicale – Intervista a Dani Macchi

Quello del produttore è un ruolo determinante nella creazione di un disco o anche solo di una canzone. Fin troppo spesso però se ne sente parlare senza avere in mente un chiaro e preciso concetto di cosa sia davvero un produttore, cosa faccia nella sostanza e fino a che punto sia coinvolto nelle decisioni che riguardano un’opera artistica o la vita di una band. Abbiamo scambiato qualche battuta per approfondire le varie sfaccettature di questa figura professionale con il produttore Dani Macchi, noto anche per la sua militanza nei Belladonna, gruppo con il quale si è guadagnato una certa fama specialmente all’estero e in particolare nel mondo di Hollywood – basti pensare che le canzoni della band sono state usate nei trailer e nelle colonne sonore di film come Black Panther, Fahrenheit 11/9, Fantastic 4, Minions (e non solo).

Ciao, Dani! Partiamo dalle basi: come definiresti in una frase il lavoro che fa un produttore all’interno di un disco o di una canzone?

Direi che è un po’ come quello di un allenatore con un atleta. E proprio in quest’ottica, anche se può sembrare sorprendente o riduttivo, suppongo che la risposta più clinicamente esatta sia “correggere gli errori”. Siano essi di songwriting, di stile, musicali, tecnici, o di qualsiasi altra natura. Errori che una band o un artista non ha l’esperienza o il distacco emotivo o a volte anche il talento (anche se magari il loro talento come autori o performer è enorme) di vedere o capire. Correggendoli tutti ne esce fuori – in teoria, ma spesso anche in pratica! – esattamente il disco che l’artista voleva realizzare.

Questo non rende il produttore un’entità superiore rispetto all’artista; ha semplicemente un compito e una competenza diversi, e li mette anzi al servizio dell’artista, proprio come un allenatore con un atleta. Questo include ovviamente non solo la “correzione di errori”, ma anche lo stimolare l’artista per metterlo in grado di dare il suo meglio assoluto durante le session, e sempre al servizio delle canzoni.

Come si trova il giusto bilanciamento fra la tua visione e quella dell’artista? Ad esempio, cosa succede se l’artista arriva in studio con un’idea che dichiara piacergli tantissimo e a te invece quell’idea sembra decisamente poco buona?

La cosa fondamentale è accordarsi prima di iniziare a lavorare su un disco su una visione comune e condivisa di quello che dovrà essere il disco. A quel punto un’idea può essere non buona solo se non è in linea con la visione concordata, e allora lo si fa notare e non si può che scartare. Tutte le altre idee vanno prese in considerazione e – budget e tempo permettendo – si provano tutte, e se c’è una visione condivisa non si potrà che essere d’accordo sulla valutazione della loro efficacia una volta ascoltate. Poi certo, se l’artista è preda delle pulsioni del suo ego e insiste su idee bislacche per puro desiderio di esercitare il proprio potere allora bisogna mettersi il cappello dello psicologo e risolvere la situazione in maniera elegante ed efficace. Accade spesso, e gestire e risolvere queste situazioni è parte del lavoro di un produttore.

Pensi che ci sia una sorta di “tratto distintivo” o “marchio di fabbrica” che contraddistingue le tue produzioni?

Suppongo anzitutto che l’attenzione che dedico ad assicurarmi che la qualità del songwriting sia il massimo che l’artista può ottenere caratterizzi le registrazioni che produco. E poi credo ci sia un certo carattere che definirei “cinematico” in quello che amo fare in musica e suppongo che questo carattere emerga nelle registrazioni che produco – comprese ovviamente quelle dei Belladonna che sono in effetti state utilizzate in film e trailer.

E guardando altrove, quali sono i produttori a cui ti ispiri o che stimi maggiormente? Quali sono le loro caratteristiche che apprezzi di più?

I grandi maestri sono tanti, e di tutti apprezzo proprio la loro attenzione alla qualità del songwriting e il sapore cinematico delle registrazioni che producono. Se dovessi menzionarne tre, direi George Martin (soprattutto per Abbey Road), Robert “Mutt” Lange (soprattutto per Back in Black) e Daniel Lanois (soprattutto per Achtung Baby). La scorsa estate sono stato invitato a una festa nella bellissima villa di Daniel Lanois a Los Angeles ed è stato per me un vero onore conoscerlo, visitare il suo studio e soprattutto sentirlo suonare con la sua band pazzesca nell’atrio della sua villa assieme ai pochissimi di noi presenti. La sua musica sa generare emozioni ad altissimo livello e quella notte magica sarà per sempre indimenticabile, e mi ha rivelato il segreto della magia delle sue produzioni: creare in studio dei momenti magici facendo suonare i musicisti tutti assieme, live, in un ambiente accogliente e stimolante.

Sembra elementare, ma purtroppo è un’arte che ormai pochissimi produttori al mondo sanno o vogliono praticare, e infatti io credo sia anche o soprattutto per questo che sono pochissimi i dischi magici che escono da anni ormai. Chi ha creato Pro Tools ha creato uno strumento favoloso ma che purtroppo si è rivelato soprattutto una bestia senza pietà che ha aggredito, sbranato, divorato la creatività di tantissimi produttori e musicisti di grande potenziale.

Nel tuo settore credi che sia più importante essere “up-to-date” con ogni più recente trend all’interno dell’industria discografica o avere parecchia esperienza sul campo? (Posto che ovviamente l’ideale è avere entrambe le cose)

Se si vuole produrre musica da alta classifica è fondamentale essere informatissimi su quanto accade, e l’esperienza serve a poco o a nulla: basta essere in grado di replicare quanto è già in classifica, magari aggiungendoci qualche piccola nuova idea, purché non sia troppo innovativa. Se invece si vuole produrre musica per creare emozioni travolgenti e indimenticabili (Daniel Lanois!), allora essere informati non serve ovviamente a nulla. L’esperienza invece aiuta molto a creare i presupposti perché avvengano delle magie in studio, e a sapere poi gestire sonicamente, musicalmente ed emotivamente queste magie per farle arrivare intatte nel disco finale.

Come resti in contatto e “aggiornato” sulle continue evoluzioni del panorama musicale?

Non lo faccio. È rarissimo che io ascolti musica registrata negli ultimi trent’anni. Mentre ascolto e studio quotidianamente i classici, soprattutto Motown, Stax e Beatles. La qualità del songwriting e delle performance di quei brani è per me continua fonte di apprendimento, ispirazione e gioia.

Veniamo da un periodo di stop forzato del settore musicale a causa dell’epidemia da coronavirus. Ti sei dovuto fermare anche tu con il tuo lavoro in studio o sei riuscito ad andare avanti a lavorare in qualche modo?

Purtroppo senza il contatto umano realizzare alcuni tipi di dischi non è neanche ipotizzabile. Ma questi mesi sono stati per me ricchissimi sia sul fronte dello studio dei classici che sul fronte del songwriting, che ho ovviamente condiviso con la mia sorella di songwriting, nonché frontwoman dei Belladonna, Luana Caraffa. Abbiamo scritto e registrato e stiamo scrivendo e registrando moltissimi brani nuovi, dal punto di vista creativo è un periodo molto speciale per noi.

Per finire, che consiglio daresti a una band che ha scritto o sta scrivendo canzoni e vuole cercare un produttore per portarle a compimento?

Di non iniziare neanche a cercarlo se non si ha una visione precisa del tipo di disco che si vuole fare e se non si hanno delle canzoni che siano al livello delle canzoni dei grandi artisti che la band ama. In questo bisogna cercare di essere il più possibile obiettivi e onesti con sé stessi A quel punto si avrà anche un’idea chiara di che tipo di produttore può portare quella visione e quei brani a diventare esattamente il disco che può diventare, il disco che la band sogna di realizzare.


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