Elephant Brain: “il nostro disco? Niente di Speciale”
Gli Elephant Brain fanno parte dal 2015 dei gioielli offerti dall’Umbria. Dopo un EP che li inserisce a pieno diritto nel filone alternative rock italiano, concerti in apertura ad artisti del calibro di Ministri, Zen Circus e Giorgio Canali e un cambio di bassista, il quintetto torna con l’album Niente di speciale in uscita il 17 gennaio. Con il soundcheck dei fratelli di territorio Fast Animals and Slow Kids a fare da sottofondo musicale, Vincenzo (voce e chitarra) e Giacomo (batteria) ci parlano di quale sia l’altro lato del dire “e veniamo da Perugia”, di come sia stato registrare con Jacopo Gigliotti dei FASK e di cosa possiamo aspettarci dai nuovi pezzi.
Gli Elephant Brain sono tutti originari di Perugia. All’uscita dell’EP ne avete parlato come di una città che offre supporto, ma dalla quale è difficile uscire. È un lato di questa città che forse non viene immaginato facilmente da un ascoltatore, specialmente da chi è abituato a sentirne le lodi da parte di band come Fast Animals and Slow Kids. Qual è invece il suo lato oscuro?
Giacomo: Qui si è persa un po’ la figura del locale per la band media. Ad esempio l’Urban, che è un locale da 800-900 persone, si fa fatica a riempirlo col primo disco. Ma questo è forse un problema un po’ di tutta Italia. O passi subito al grosso, oppure è difficile. Le date che si ricordano tutti sono quelle in apertura alle band più grandi. Quelle servono, ma devi avere tutto pianificato se vuoi uscire dal territorio. Non è semplice, specialmente per noi che siamo stati fermi parecchio tempo. Vuoi per problemi nostri, vuoi anche perché un sacco di gente ci ha subito comparati ai FASK. Però noi l’abbiamo presa bene. Voi dite che siamo uguali a loro? E noi andiamo a registrare con Jacopo. Un po’ l’abbiamo fatto apposta, perché tanti di questi discorsi sono stati fatti da gente umbra.
Come si convive con l’ombra dei Fast Animals and Slow Kids nel vostro territorio?
Vincenzo: Si convive, si convive! Noi siamo amici con Jacopo e Aimone soprattutto, e abbiamo scelto Jacopo come produttore per un rapporto di fiducia con lui, ma questo dimostra anche che non ce ne frega di questo paragone. Secondo noi si sente la differenza rispetto ai FASK; spesso si corre ai paragoni solamente perché facciamo entrambi rock in italiano.
G: Si sente anche la differenza nella scrittura. Aimone ha il suo modo, noi abbiamo il nostro. Se poi alla gente piace generalizzare, allora siamo uguali anche ai Gazebo Penguins, ai Ministri…
V: Per cui alla fine ci ridiamo sù noi come ci ridono su loro, e lì finisce.
G: Fai conto che durante le registrazioni noi chiedevamo a Jacopo “ma Ja’, ma non è troppo uguale a voi?” e invece lui “ma no freghi, ma io non ce la vedo tutta ‘sta roba uguale….”
Prima mi avete detto che ognuno di voi porta al tavolo qualcosa di nuovo perché i vostri gusti sono tutti diversi. Eppure, pur con influenze diverse, il vostro EP spicca per uno stile abbastanza unitario. Come si svolge per voi questo processo di “unificazione”?
G: Noi ascoltiamo veramente tante cose diverse l’uno dall’altro, ma alla fine il lavoro in sala prove è proprio quello di riportare tutte queste cose diverse su qualcosa che mantenga una sua identità. Però allo stesso tempo deve avere un carattere suo.
V: Il discorso alla base è: siamo gli Elephant Brain, siamo una band, siamo cinque persone, ma dobbiamo pensare come una sola testa. Nel momento in cui si lavora, tutte le idee devono essere focalizzate su un punto che poi deve piacere a tutti. Diciamo che le idee che piacciono a uno devono essere inculcate nella testa degli altri. Magari non come le abbiamo originariamente in testa, un po’ dicendo “eh, magari se fai questo mi piace un po’ di più…”
G: E poi alla fine crei qualcosa che è veramente “tuo”.
V: La gestazione del disco è stata proprio questa.
G: Mischiare tutti gli influssi e limarli in maniera che piacciano a tutti.
V: Un anno è stato solo così. La canzone Scappare sempre avrà avuto più di venti versioni. Una volta non ti convince una strofa, una volta non sta più bene il ritornello perché hai modificato la strofa, poi la linea non va bene…
E alla fine è possibile uscire tutti soddisfatti?
V: Alla fine c’è sempre qualcuno che ne esce insoddisfatto, ma siamo cinque persone: ci si deve convivere. Più persone ci sono e più è difficile. C’è chi nella band è più “sì, vabbè, non me ne frega un cazzo, facciamo ‘sto cambio di tempo” però è nelle cose un po’ più tecniche.
Il primo EP degli Elephant Brain era autoprodotto. Ora che siete prodotti da Jacopo è più facile questo processo di amalgamazione? Se già dovete scendere a compromessi tra di voi, come cambia il lavoro quando si aggiunge la guida di un produttore?
V: Jacopo è veramente tranquillo.
G: La cosa bella è stata che Jacopo ha sempre creduto nelle nostre idee, gli sono piaciute fin da subito. Durante la registrazione ha toccato molto poco. È stato lì, ma con discrezione. Ha portato molte idee fighe sulle tecniche di registrazione, sulle scelte dei suoni…. il lavoro grosso che ha fatto è stato sul suono. Noi gli abbiamo detto “Ja’, noi vogliamo il suono grosso, vogliamo queste determinate chitarre, vogliamo ‘sta batteria…” e da lì è partito tutto il suo lavoro: “allora potremmo usare questi microfoni, potremmo riprendere così…” È stata una ricerca insieme, come dovrebbe fare un produttore. È sempre stato di fianco a noi, ma in maniera molto discreta.
V: Sostanzialmente ha lasciato l’idea senza snaturarla. C’è un pezzo, ad esempio, dove lui ha detto “è troppo pieno, alleggerite un po’, togliete un po’ di cose, poi le rimettiamo”.
G: E aveva ragione. Siamo in cinque e abbiamo tre chitarre, tendiamo sempre a fare il pienone dall’inizio all’ultimo.
Effettivamente si sente la differenza nella tecnica di registrazione tra Ci ucciderà e l’EP precedente degli Elephant Brain. C’era già Jacopo dietro?
V: Sì, quella è stata la prova.
G: E la versione del disco sarà ancora più diversa.
V: Sì, abbiamo levato i cori, rimesso altre chitarre… è stata la prova in cui ci siamo detti “con chi andiamo a registrare?”. Poi ci sono i pro e i contro di lavorare con lui. Il contro è che lui ovviamente suona e va in tour, ma oltre a quello di problemi non ne ha. Quando ci siamo visti è stato con noi anche giornate intere dalla mattina alla sera.
G: Poi quando lavora è una macchina, è mostruoso. Noi a volte eravamo distrutti a fine registrazione, magari tutto il giorno a fare cori, tutto il giorno chitarre e poi non è che arrivi alla fine e va bene, riascolti tremila volte, riascolti sempre… e lui sempre lì rimane, sempre lì al computer con due occhi così. E tu stai là tipo “vi prego, andiamo a letto”. Una delle cose più difficili è stata riprendere in mano le tematiche, capire quali fossero quelle più giuste da affrontare. Adesso le canzoni degli Elephant Brain parlano di un po’ di tutto e di più. Noi volevamo affrontare tre/quattro temi ben specifici che ci stanno molto a cuore. Andrea fa l’educatore, lavora in una cooperativa con bambini e famiglie con problemi alle spalle. E siccome scrive lui i testi per la maggior parte, questa tematica si sente. Poi le influenze si rivelano tutte insieme, però l’input lo dà lui, quest’idea la vuole trasmettere. Gli piace, e anche noi l’abbiamo accolto abbastanza bene.
V: Diciamo che il filone generale che abbiamo seguito è la difficoltà di fare un disco. Detta così è un po’ brutta, ma abbiamo parlato di questa difficoltà da parte nostra. Quelli che sono gli “accolli”. Poi magari ci sono i pezzi che li ascolti e dici “ma questa parla di due persone che si amano”, “questo parla del mio gatto”, però se dovessimo trovare un filone generale sarebbe: che cosa fai nel 2020 per fare musica?
G: Poi una cosa che è sempre piaciuta in primis a Vincenzo è che il testo potesse assumere i diversi punti di vista degli ascoltatori. Che loro ricevano emozioni diverse dalle nostre ascoltando lo stesso testo. Magari per noi significa una certa cosa, però a chi ascolta può arrivare un altro messaggio in quel momento.
V: Scappare sempre, ad esempio, parla della difficoltà che abbiamo avuto a provare. Uno di noi è andato a vivere da solo, si è spostato nel paese di fianco e dal fare due minuti di macchina ora ne deve fare quindici-venti e si è passati al “stasera prove dalle 6 alle 8?”, “eh raga fino alle 7 lavoro”. È anche questo. È il “che cos’è che ti spinge a fare musica?”. Quando finirà, stessa cosa. Cioè, quando tutto questo finirà potremo… non so, stare insieme le domeniche, non avremo le prove, fare che quello che ci pare. Quando finirà ‘sta roba della composizione, questo è sostanzialmente. Però poi ci vuoi vedere qualsiasi cosa: quando finirà una storia…
G: Anche la stessa Ci ucciderà è nata proprio perché o ce morimo sopra ‘sta roba, o ce morimo. Questa musica ci ucciderà. Era un periodo nero, non riuscivamo a venirne fuori.
V: Non riuscivamo a far uscire qualcosa di sensato senza vergognarci. Quella è molto diretta, è la prima che è uscita.
G: Però è quello che volevamo trasmettere in quel momento. Dovevamo uscire da quella situazione dove o sbatti la testa o niente. Deve essere così per forza. Punto.
Per alleggerire l’atmosfera: la nascita più assurda di una canzone degli Elephant Brain?
V: Blu. Blu è nata il 7 di febbraio e dovevamo mandarla l’8 per un concorso. Era una roba europea, non mi ricordo. Gliel’abbiamo mandata registrata col telefono… probabilmente l’avranno aperta, non si sarà sentito niente e avranno detto “vabbè, dai, vaffanculo”. Abbiamo fatto quasi 7-8 ore continue, dall’una fino a mezzanotte, “regà, va chiuso il pezzo!”. Però per questo disco avevamo tempo, e ce lo siamo presi. Può essere una cosa positiva o negativa, però stavolta non abbiamo lasciato nulla al caso visto che sull’EP abbiamo avuto degli “attacchi”. Tipo su Blu ci hanno detto “l’hanno già fatta i Verdena ‘sta roba”. E quando questa persona ce l’ha detto noi l’abbiamo guardato ed abbiamo detto “va bene”. Ognuno ci vede quello che gli pare. Blu parla dei pezzi che passano per radio, di chi sceglie la radio per te.
G: Invece nel disco nuovo ci sono dei pezzi molto più diretti, che sono nati subito, tipo Weekend. Andava subito bene in quel modo ed è rimasto grezzo. Ci sono pezzi che non sono proprio stati toccati dall’idea originale, erano diretti, erano naturali. Poi invece c’è stato un pezzo su cui abbiamo lavorato un anno perché per farla suonare come volevamo noi aveva bisogno di tanti riarrangiamenti.
V: “Restiamo quando ve ne andate” è nata in un modo, è rimasta per due anni così e poi dieci giorni prima di andarla a registrare è cambiata.
E un aneddoto dal tour?
G: Quando dobbiamo suonare io guido quasi sempre. Un anno siamo andati a suonare a Torino, io ho guidato da Perugia ma stavo malissimo. Poi quando siamo tornati mi sono accorto di avere la mononucleosi. Ho fatto quella data con la febbre. Questi stronzi hanno fatto serata a Torino e io sono tornato a letto perché stavo morendo… e anche la seconda volta a Torino guidavo, e sono comunque tornato a letto perché la mattina dopo qualcuno aveva un esame.
V: Io!
G: Tu avevi il diploma del conservatorio! E quindi io e lui siamo tornati a letto, mentre gli altri un’altra volta a far serata a Torino. Io di due volte che ci sono stato, non l’ho mai vista. Un’altra volta come Elephant Brain abbiamo suonato a Molinella, ad un festival di ragazzi simpaticissimi in un campo da calcio.
V: Noi convinti di essere a Bologna. “Siamo a Bologna!” e poi era a 45 minuti da lì.
G: Finiamo di suonare, chiacchiere, bevuta… Emilio veniva da tre giorni di Umbria Che Spacca senza mai dormire e si era addormentato in furgone, l’altro aveva l’esame il giorno dopo e voleva dormire. A un certo punto abbiamo trovato la sbarra del casello verso Perugia chiusa, e alle 4 di notte eravamo fermi al casello senza sapere cosa fare. Poi è arrivata una volante della polizia…
V: …e lì abbiamo scoperto che di notte bisogna fare un’altra strada perché viene chiusa la sbarra.
G: E quindi tutti dormivano mentre io a guidare alle 4 di notte con la polizia dietro. Ma Torino rimane la migliore. Gli altri sono usciti, sono andati a un rave party… e noi lì a letto.
V: Poi dovevamo condividere la stanza con un ragazzo di un’altra band che non avevamo mai visto. Quando abbiamo fatto il check-in ci siamo detto “beh, verrà e si prenderà la chiave”, ma lui in realtà aspettava noi perché non c’erano altre chiavi. Ci ha mandato un sacco di messaggi ma io ero andato a dormire perché avevo il diploma il giorno dopo, gli altri erano a un rave party e non sentivano nulla. Abbiamo visto i messaggi alla mattina ma non ci ha più riscritto. Ancora non abbiamo idea di dove abbia dormito…
Gli Elephant Brain suoneranno venerdì 10 gennaio all’evento Friday I’m in Rock all’Urban di Perugia, occasione in cui presenteranno anche le canzoni del nuovo album. Tutti i dettagli sull’evento Facebook ufficiale.
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