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Il Corpo Docenti: “Ci fanno meno paura le fiamme se c’è un posto sicuro in cui tornare” – Intervista

DI SIMONE DE LORENZI

Il panorama alternative rock nostrano è ancora capace di sfornare progetti interessanti e Il Corpo Docenti, nato nel 2017 a Milano, ne è una prova. Il trio composto da Lorenzo Manenti, Federico Carpita e Luca Sernesi, che vanta concerti in apertura a Ministri, Cara Calma, Punkreas, Gomma e Le Endrigo, ha pubblicato di recente l’album Un posto sicuro, prodotto da Divi dei Ministri. Il disco arriva dopo l’EP Scivoli (2018) e l’esordio Povere bestie (2020). Li abbiamo intervistati all’Estragon di Bologna proprio prima che salissero sul palco per aprire ai Ministri.

Ciao ragazzi! È la prima volta che suonate a Bologna, come sta andando il tour?
Luca: Il tour sta andando da dio! Sta andando molto bene perché comunque non eravamo abituati a questa tipologia di tour, nel senso che abbiamo sempre fatto delle cose un po’ più piccoline e l’unico episodio così grosso è stata la prima data di Povere bestie – all’Alcatraz, prima dei Punkreas – e poi da lì tra gli anni che abbiam passato e una serie di cose ci eravamo quasi dimenticati…
Lorenzo: Diciamo che siamo sempre andati un po’ alla cieca: pur avendo sempre un seguito, non sapevamo mai che tipo di affluenza aspettarci dalle nostre date. Questo è anche il primo tour dove facciamo delle aperture grosse.
Federico: E comunque nelle date un po’ più piccole ci sembra di capire che stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato nei tour dell’EP e di quelle poche date che ci sono state per il primo disco.

Avete riscontri anche di gente che viene apposta per voi?
Luca: Sì, questa è la cosa positiva: persone che ci scoprono in altre occasioni dopo ci vengono a sentire in concerti tutti nostri, dove possiamo esibire la nostra scaletta al completo.

State avendo la possibilità di suonare insieme a Ministri e Cara Calma.
Federico: Sono amici entrambi i gruppi, quindi è un piacere.
Lorenzo: Con i Cara Calma abbiamo condiviso il palco ormai quattro, cinque volte, li conosciamo benissimo.
Luca: È molto tranquilla come situazione, nel senso che è da tanto che suoniamo con loro, quindi non c’è lo scalino emotivo che può esserci adesso con i Ministri.

Altri nomi con cui vi piacerebbe condividere il palco?
Luca: Io con Giancane. Con i Fast Animals and Slow Kids mi piacerebbe molto, ma penso a tutti noi.
Federico: A me piacerebbe ricondividere il palco coi Gomma.
Lorenzo: Io almeno una volta nella vita coi Gazebo Penguins vorrei farla.
Federico: O gli Zen Circus.
Luca: A me fare un opening a Blanco piacerebbe tantissimo; anche in apertura a La Sad sarebbe molto bello. Insomma, mi piacerebbe che quel pubblico lì scoprisse anche qualcosa in più nel rock italiano.
Lorenzo: Il revival pop punk di adesso mi ha fatto strano, perché siamo cresciuti tutti con quella scena, tipo blink-182: siamo legati a quel mondo.
Luca: Secondo me non se n’è mai andato, alla fine. Perché devono sparire certe correnti? È bello che anche i ragazzi più giovani approccino la musica partendo da un genere come quello, che per noi è stato forte.
Federico: Anche perché alla fine quando ci sono momenti un po’ di morìa generale di offerta queste cose qui tornano sempre.
Luca: Secondo me è soltanto il linguaggio di un genere che si evolve sulla base del tessuto che c’è. Com’è stato per il pop, per il cantautorato, che alla fine si è mescolato con l’indie… è il linguaggio che è cambiato, è cambiato lo scenario: è cambiato anche quel genere lì.

Parliamo dell’album che è appena uscito. A livello di sound che salto c’è stato tra il disco di esordio e Un posto sicuro?
Lorenzo: Probabilmente il salto è stato non scrivere più come un trio in sala prove e concentrarsi molto di più su quello che stavamo facendo a livello di parti, coi nostri strumenti – magari a volte improvvisarle anche. Ci siamo resi conto che suonare quello che ci veniva in mente – anche al momento, in un determinato mood, su un determinato pezzo – poteva portare qualcosa di interessante alla composizione del pezzo. Abbiamo costruito tutto per layer, mentre una volta eravamo molto “animali da sala prove”: avevamo una parte, che nessuno cambiava, e su quella parte si costruiva una canzone.
Federico: Prima in saletta ci si stava molto più tempo a suonare, invece noi ci siamo stati molto più tempo a registrare. E di conseguenza cambiano tantissime dinamiche.

Questo anche perché eravate obbligati dalla pandemia? Ad esempio non dovendo preparare i live.
Lorenzo: All’inizio sì, però credo che la pandemia abbia avuto più un approccio a livello di testi e mood dei pezzi. Comunque ci è piaciuto l’approccio – che inizialmente era costretto, forzato dalla pandemia, e poi abbiamo portato avanti.
Luca: Anche perché coincideva molto bene con quello che volevamo dalla nostra musica in quel momento.

Che impressione avete della scena alternative rock – esordiente e non – post-pandemia?
Lorenzo: Ne esce con un po’ di cerotti, un po’ di botte le ha prese. Sicuramente gli esordienti non hanno avuto un bel momento in pandemia – parliamo noi che eravamo semi-esordienti in quel momento –. È stata durissima anche a livello psicologico: sapere di far parte di una band, di aver fatto un disco che doveva essere portato in giro e non poterlo fare, quando la tua dimensione è prettamente live.
Luca: In pandemia è stata particolarmente sofferta, perché tutto il mondo si è spostato sullo streaming e il rock non è che vada fortissimo da quel punto di vista. Ma adesso per i grossi è più complicato, perché materialmente c’è molta più difficoltà in termini di capienze, in termini di controllo, a volte alcuni tour slittano per allarmismi vari… invece è scattato un qualcosa nella testa delle persone che poi di rimbalzo giova ai più piccoli, che magari sono più accessibili e meno soggetti a logiche complicate, sono più facili da raggiungere. Su di noi abbiamo visto una gran voglia di tornare a divertirsi a un concerto rock.
Federico: Ed è stato un po’ il rinculo del periodo del lockdown: alla fine tanti dei generi che paradossalmente andavano fortissimo e sverniciavano il rock non campano di live, perché non è una loro prerogativa. Paradossalmente il tenere la gente a casa e limitarla tanto gli ha fatto crescere la voglia di tornare a fare una serata.

La copertina dell’album è molto evocativa: rappresenta una tenda circondata da un incendio, emblema di “un posto sicuro” in cui rifugiarsi per sfuggire ai pericoli. Però quando si esce le fiamme sono ancora lì.
Federico: Magari le spengono. (ride)
Lorenzo: Io l’ho sempre pensata un po’ così: okay un posto sicuro, ma il posto sicuro varia o a volte potrebbe anche non presentarsi; o non esistere sempre, o essere qualcosa che è sempre da cercare.
Federico: Secondo me il discorso è anche un altro. In quel momento sei nella tenda e fuori ci sono le fiamme; al di là della battuta iniziale, magari effettivamente qualcuno le spegne o magari non c’erano neanche, là nella tua testa.
Luca: Dentro la tenda fondamentalmente non siamo da soli, ci sono alcune persone – anche poche possono essere un sacco, a volte. Se tu hai un posto sicuro e sei a contatto con queste persone, è come se, quando esci fuori, avessi la divisa per riuscire a stare dentro le fiamme; consapevole che alla fine, se devi fare dei tuoi giri intorno alle fiamme, a un certo punto hai un posto sicuro in cui tornare. Era un po’ questa qui l’idea del disco: ci fanno meno paura le fiamme se c’è un posto sicuro in cui tornare.
Lorenzo: E se le fiamme raggiungono la tenda?

Era la mia prossima domanda. Quella tenda non sembra particolarmente ignifuga.
Luca: Pensa che quando stavamo discutendo della copertina c’è stata una variante che era ancora più fragile di quella, in cui eravamo dei bastoncini di legno. L’idea nata intorno alla copertina era anche quella di far uscire il posto sicuro come qualcosa di estremamente fragile; che a volte può essere fragile perché l’esterno lo attacca, però in realtà è fragile anche dall’interno: perché noi siamo una famiglia in questo momento, poi non sai cosa può succedere. Intanto c’è un posto sicuro. Le fiamme sfiorano la tenda, però magari in futuro chissà che fine fa la tenda; magari si trasforma, magari finiscono le fiamme… quella lì è la rappresentazione del momento che abbiamo vissuto negli ultimi anni; quindi ci rivediamo tra due anni.

Avreste potuto giocarvela in una maniera più comoda, mettendoci – che so – una fortezza di mattoni.
Luca: Eh, ma è il bello della fragilità.
Federico: Il posto sicuro non è una cosa duratura se non vuoi che sia duratura o comunque solida.
Luca: Esatto. In tutte le nostre copertine – ma perché, secondo me, è una questione che si lega alla musica – la fragilità è importante e questo Margherita Morotti, che ha curato le grafiche, l’ha capito benissimo. Nell’artwork di Povere bestie c’è una fortissima componente di fragilità, basta aprire il disco e vedere: all’interno ci sono delle mani che costruiscono una trappola, con i topi che la guardano e poi vanno a rosicchiarle intorno… c’è il rischio. In questa copertina ce n’è ancora di più, ma perché veniamo da un momento in cui il fuoco ci è stato molto più vicino rispetto al passato, ci ha quasi bruciato.

Domanda scontata ma non banale: qual è il vostro posto sicuro? Se esiste.
Federico: Se è uno solo.
Lorenzo: Una volta avevamo detto che poteva essere anche semplicemente Milano, la nostra città, che è più un contenitore di posti sicuri piuttosto che il posto sicuro in sé.
Federico: Anche noi tre lo siamo gli uni per gli altri.
Luca: Anche stasera, soprattutto in queste occasioni. Siamo in apertura ai Ministri; chi sono i Ministri? Una band, ma sono amici – poi noi lavoriamo con Divi alla produzione, ma ormai il rapporto è diventato d’amicizia, forte – e quindi come fai a non sentirti al sicuro in una situazione del genere?
Lorenzo: Diciamo che qualsiasi posto che ti faccia sentire bene in quel momento può essere visto come un posto sicuro tendenzialmente; poi, che duri di più o duri di meno, è un posto sicuro.
Luca: La nostra sala prove, in maniera più concreta.

Il Corpo Docenti si è formato a Milano, ma voi venite da tre città differenti: Brescia, Modena e Livorno.
Luca: E poi Francesco, il ragazzo che ci dà una mano live con la chitarra, è marchigiano. Il fatto è che uno dice “Parlate tanto di Milano, ma alla fine a Milano non ci siete nati”.
Lorenzo: Siamo scappati dalle province.
Luca: Veniamo dalla provincia, quindi non è che schiocchi le dita e ci sai vivere a Milano. Se ce l’avessi chiesto qualche anno fa, Milano non sarebbe stato il nostro posto sicuro. Abbiamo imparato a conviverci.
Lorenzo: È vero: a Milano non ci vivi, devi convivere con Milano.
Federico: E nessuno ci vuole morire, di sicuro.
Luca: Anche perché lei va dritta. Corre, corre, e tu le stai un po’ dietro; poi quando trovi l’armonia – quando trovi il posto sicuro – capisci come stare a tuo agio e ti rendi conto che non devi sentire questa pressione, perché può essere un meccanismo in cui è facile cadere.

Avete un bel rapporto con le vostre città natali?
Federico: È un rapporto strano: quando non ci vivi più per tanto tempo e ci torni è strano ovviamente. È bello e brutto, come è bello e brutto il rapporto con Milano alla fine. Le nostre città sono tutte e tre uguali anche se di regioni diverse.
Lorenzo: Sono il classico piccolo paese di provincia.
Federico: La provincia è riuscita a fare quello che non aveva fatto Garibaldi, unificare l’Italia.

Da quali “Buchi neri” state scappando in questo momento?
Federico: Non c’è un buco nero o dei buchi neri precisi, cambiano da situazione a situazione: sono più momenti in cui ti trovi a pensare e a renderti conto che anche fare gli scongiuri non serve più a molto.

Il Corpo Docenti è in tour per presentare il loro album Un posto sicuro:
4 maggio @ Santeria, Milano (exclusive acoustic showcase)
21 maggio @ La Tenda, Modena (con Antartica e La Convalescenza)


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