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Lost: “Ogni disco è una rinascita” – Intervista

di Simone De Lorenzi

I Lost, aka Walter Fontana e Roberto Visentin, sono tornati quattordici anni dopo l’ultimo disco con Sbagliare sognare, un lavoro che sta dalla parte degli emarginati “però sempre con quella voglia di dimostrare che in realtà dentro brucia qualcosa di forte”. Li abbiamo incontrati per parlare dell’album uscito venerdì scorso, anche se loro sono già rivolti verso il futuro: “Abbiamo ancora tante cartucce da sparare nei prossimi anni, quindi stiamo andando avanti e non ci fermiamo. Noi stiamo sempre a scrivere e sicuramente sarà ancora più divertente il prossimo disco”.

Il duo vicentino ha presentato Sbagliare sognare sabato 25 maggio all’Alcatraz di Milano: “Poterlo presentare in una cornice come l’Alcatraz per noi è una grande soddisfazione. È stato uno dei posti in cui abbiamo visto tra gli artisti più importanti della nostra generazione, quindi tornare su quel palco da headliner è una gran figata. Un palco del genere non ci spaventa perché il nostro habitat naturale è il palco, però dal punto di vista emotivo è un bell’impatto”. Il live ha dato ampio spazio ai brani di Sbagliare sognare, confermando la loro volontà di guardare avanti e rimanere lontani da studiati effetti nostalgia: tra le hit del passato in scaletta solamente Stand By (più – non programmata – Tra pioggia e nuvole). Un concerto punk rock in piena regola che ha fugato ogni indizio di “pop band” nella mente del pubblico.

lost foto concerto alcatraz

I Lost live all’Alcatraz, foto di Marco Musi (gallery su Instagram)

Ciao Walter, ciao Roberto e benvenuti su TBA Magazine! Come state? Come vi sentite a qualche ora dall’uscita del disco?

Bene bene! Siamo carichi e tesi allo stesso tempo. L’emozione è tanta, perché dopo 14 anni quasi non dico non ti ricordi più com’è l’uscita di un disco, ma è come se fosse il primo disco per noi, perché ogni disco è una rinascita. E quindi come ci sentiamo? Siamo carichi come delle molle ed era quello che ci voleva per darci questa botta in avanti per le prossime date; e la voglia di far ascoltare la musica nuova e il nuovo sound è la cosa più importante in questo momento.

In questi ultimi anni in Italia abbiamo assistito al revival del pop punk. Che cosa ha significato per voi questo ritorno, come l’avete vissuto voi che una volta eravate considerati mainstream?

Questo ritorno ai suoni pop punk, emo, rock, nu metal per noi è stato inaspettato, ma quando abbiamo iniziato a scrivere il disco è venuto veramente in modo naturale. Non abbiamo detto “Okay, adesso sta tornando il revival, allora dobbiamo buttarci in quel calderone”, no, è venuto così. Abbiamo visto che i primi brani che stavamo scrivendo ci piacevano e soprattutto ci facevano divertire, e quindi abbiamo continuato nella scia. Il revival per noi è un punto di partenza, perché non vogliamo essere una band revival, non ci interessa. Vogliamo che disco dopo disco la gente possa affezionarsi al nuovo materiale, che si diverta ad ascoltare la nuova musica e a venire a sentirla ai live, quindi non siamo sicuramente ancorati al passato, anzi – pur richiamando suoni del passato – stiamo guardando assolutamente avanti.

Secondo me questa cosa qua si capisce se uno ascolta l’album dall’inizio alla fine, è molto chiara. Spero però che non veniate trattati dalla stampa come appunto la band del revival.

Quello è un po’ il rischio per il nome che abbiamo, però l’unico modo per scardinare questa cosa qui sono i concerti. Concerto dopo concerto, mattoncino dopo mattoncino riesci a far capire che non è quel preconcetto, non siamo i Lost del 2008 di MTV, ma una band che negli anni comunque è cresciuta e ha deciso di rimettersi in gioco anche rischiando. Sarebbe più facile ricalcare quello che siamo stati e buttarci sul revival, però non è la nostra strada, quello lo lasciamo ad altre band.

Se nel loro album i Finley hanno cercato anche la hit estiva, voi vi siete mossi su sentieri diversi. Che cosa ha motivato questo cambio di sonorità verso un punk rock più deciso, più hardcore, che l’italiano medio non digerisce a primo impatto?

Ci siamo guardati e abbiamo detto: il progetto è il nostro, lo prendiamo in mano e facciamo quello che ci piace. Quello che ci piace è il sound con il quale siamo nati, ovviamente trasportato al 2024. La regola era nessuna regola, nel senso che siamo arrivati in studio e abbiamo detto: facciamoci ispirare, ascoltiamo musica nuova, ascoltiamo quello che ci fa star bene. Quello che ci faceva star bene era questo tipo di sound: il metalcore, il punk hardcore, il punk, il rock e quindi i riff di chitarra, le melodie catchy.

E soprattutto mettiamo nei pezzi una parte di noi; mettiamo una parte che quando la canto la gente capisce che sono onesto e sto parlando di qualcosa che fa parte di me. Secondo noi nel disco ci siamo riusciti, perché ascoltandolo traspare questa cosa. E poi soprattutto un’altra cosa che ci ha portato a seguire questa linea qui è immaginarci il disco al live. Volevamo avere un disco che dal live potesse suonare bene, far divertire la gente, far dimenticare per un’ora e mezza tutti i problemi che ci circondano.

Rispetto al nuovo panorama pop punk non siete insensibili, come dimostrano i featuring con Jack Out e Millefiori. Perché avete voluto chiamarli? Come state vivendo la “nuova scena”?

Queste collaborazioni sono nate in maniera molto spontanea, perché in realtà non li conoscevamo ma li abbiamo conosciuti a un loro live: li abbiamo visti sul palco e ci sono piaciuti. Millefiori un po’ incarna quello che era il punk, l’emo dei nostri anni, però è focalizzato anche a guardare il futuro; ci è piaciuto molto, è una persona umile ed è stato bello fare questa collaborazione. E identicamente è nata con Jack Out: al live siamo andati lì, gli abbiamo detto “Facciamo qualcosa insieme”, lui ha detto “Sì, che figata!”: l’abbiamo fatto ed è nata così, nel giro di poco tempo abbiamo mandato il pezzo, gli è piaciuto e lui si è scritto la sua parte.

Nella nuova scena c’è un grande fermento e sicuramente ci sono cose molto valide. Speriamo che gli artisti possano ritagliarsi degli spazi cercando di non andare a sembrare la copia di qualcun altro, ma di essere un po’ più autentici. Secondo noi qualcosa c’è, staremo a vedere come si evolverà tutta questa scena. Perché poi in realtà quando si parla di questa scena si pensa solo alla punk trap, ma in realtà ci sono tanti sottogeneri, tante band che meritano molto e che possono dare un contributo a questa crescita.

Invece l’altra collaborazione, quella con i Dari, è nata in maniera un po’ diversa, perché comunque si parla di amici.

Sì, in realtà il brano era già tutto pronto, tutto il testo era pronto, Dario l’ha sentito, gli è piaciuto e ha cantato la seconda parte. È stata una bella collaborazione, più che altro perché è un po’ un suggello di quello che era il “fattore remember”; però comunque volevamo far capire sì che tra di noi c’è sempre stata una grande stima e una grande amicizia, quindi un ritorno al passato, però con un brano che potesse essere più attuale e non per forza un Dari o Lost 2008. Abbiamo cercato – come tutto il disco – di guardare avanti: volevamo fare uno stacco con quello che uno può aspettarsi da noi.

Prendi i Bring Me the Horizon: non si fermano mai a fare sempre il solito genere, cercano di spaziare, giocano con la loro musica ed è da prendere a ispirazione. È bello rischiare, mettersi in gioco sempre, album dopo album, anche se potresti benissimo fermarti a fare un po’ di amarcord. No, loro vanno avanti, continuano a scrivere musica e dal vivo suonano i pezzi nuovi e dei pezzi vecchi ne suonano pochissimi.

Nel live capisci se vale la pena seguire tutto il lavoro che una band ha fatto nel disco. Se il live suona bene, la band ci mette l’anima come se fosse l’ultimo concerto ogni volta. È lì che fai la differenza. E noi suoniamo così, è una cosa che ci ha sempre contraddistinto: bisogna salire e dare tutto, anche se magari poi alla fine del concerto arrivi che sei morto e hai voglia solo di buttarti a letto. Però almeno hai dato quel qualcosa in più.

Cosa vi ha ispirato nella scelta del titolo, Sbagliare sognare?

Sbagliare sognare è ispirato a quello che veramente abbiamo vissuto in questi anni, perché abbiamo capito che la vita è tutto qua, cioè mettersi lì e sbagliare. Perché sbagliando poi puoi crescere e ottenere quello che hai sognato. Se non sbagli, se non ti metti alla prova non vai da nessuna parte, rimani lì fermo e tendenzialmente chi non si mette alla prova difficilmente ha dei sogni nel cassetto. Questo è quello che racchiude il disco: emarginati che cercano la loro rivincita, e noi lo siamo sempre stati. Sembra un po’ strano dirlo così a 38 anni, ma in realtà noi non andavamo mai bene in nessun contesto in cui ci trovavamo, eravamo emarginati.

Quando cantiamo Fuori posto, quando cantiamo i testi dove diciamo che eravamo marginalizzati, è la verità. Eravamo messi all’angolo. E invece noi la nostra strada la facciamo a prescindere e secondo me l’abbiamo dimostrato con questo disco. I testi non sono stati scritti per sembrare qualcosa che non siamo o per seguire l’onda di quello che va adesso, per fare i finti giovani. Quello che abbiamo scritto nasce da quello che viviamo.


I Lost presentaranno il loro album Sbagliare sognare il 14 agosto alla Beky Bay di Igea Marina (RN), aprendo a Naska in occasione del Bay Fest 2024 (biglietti)!


Oltre a quella ai Lost per il nuovo album Sbagliare sognare, potete leggere tutte le nostre interviste a questo indirizzo!

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