
New Music Friday: Magnolia Park
L’eclettismo dei Magnolia Park nel doppio EP SoulEater/MoonEater
DI SIMONE DE LORENZI
“Posting my song until Paramore, Blink 182, and Fall Out Boy fans find my band”: buona parte dei video postati sui social dai Magnolia Park recita così e, a qualche mese dall’edizione deluxe di Baku’s Revenge, si può dire tranquillamente che i fan delle band sopracitate li hanno trovati. La band di Orlando ora ritorna, reduce da un buon successo e un’accresciuta popolarità nella nuova scena pop punk. Sempre per Epitaph Records, decide di pubblicare nello stesso giorno due EP – SoulEater e MoonEater – concepiti come due facce della stessa medaglia: “il lato più light e quello più dark del loro sound sfaccettato” (anche se titoli e copertine a priori non aiutano a stabilire quale corrisponda a cosa).
SoulEater: il lato leggero dell’anima
Il lato light dei Magnolia Park è sì quello più chiaro, ma anche più leggero. SoulEater è aperto da Manic, featuring con i conterranei 408 – ai quali si avvicinano molto come stile – ed espressione migliore che un pop punk “aggiornato” al 2023 possa desiderare. La seconda traccia è un falso featuring: Decode è il side-project EDM del chitarrista Tristan Torres e Blud Love è sostanzialmente un pezzo dance sul quale ogni tanto intervengono batteria e chitarre a dare manforte; in sé non è un brutto pezzo, ma sulle prime disorienta.
D4U risente in parte di questi beat con influenze hip hop, ma ritornando su un pop punk/alternative rock più consueto. Invece L.O.V.E. prende pieghe più digeribili e leggerine, che cercano di addolcire il rock con il pop. Anche in Wishful Thinking ritornano elementi elettronici, ma senza strafare e andando solo ad arricchire quello che è un solido brano pop punk.
MoonEater: il lato oscuro della luna
Al lato light i Magnolia Park contrappongono quello dark, ma sarebbe più corretto dire heavy. Come già aveva anticipato Misfits all’interno di Baku’s Revenge, in MoonEater la band guarda infatti al post-hardcore. I Magnolia Park danno prova di sapersi inserire nel genere con Homicide, mentre Breathing mescola bene questo sound con l’emo-trap dell’onnipresente nothing,nowhere (e finisce per assomigliare a qualcosa dalle parti dei Fame on Fire). Do or Die con Ethan Ross, invece, pare più un tentativo di emulazione dei Linkin Park.
Venendo agli inediti, troviamo la collaborazione Unholy Heart con i giovani Honey Revenge; scelta particolare, considerato che il duo californiano di solito ha a che fare con sonorità più pop rock, ma il risultato non delude affatto; il brano si mantiene su sonorità pesanti aggiungendoci qualche spruzzata di elettronica qua e là. HeartStopper spinge l’acceleratore verso il metalcore grazie all’insospettabile apporto dei Grieve, band black metal finlandese [!].
La contaminazione tra i generi dei Magnolia Park
MoonEater e SoulEater non sono riducibili allo yin e allo yang di una band che è difficile inquadrare in etichette convenzionali. I Magnolia Park hanno il pregio di fare quello che vogliono e farlo bene, senza imporsi paletti; e soprattutto scavalcano i generi senza mancar loro di rispetto. Se in MoonEater l’omogeneità è garantita da un attestamento su sonorità heavy sostanzialmente simili, SoulEater funziona più seguendo il criterio delle variazioni sul tema del loro pop punk più canonico.
Alla band statunitense, poi, riesce naturale la fusione con il rap e i loro frequenti featuring non paiono combinati a puro scopo commerciale: questi mangiatori d’anime e di luna credono davvero nella contaminazione dei generi e la cosa traspare. Tuttavia MoonEater e SoulEater funzionano proprio se considerati esperimenti quasi laterali: i risultati migliori i Magnolia Park continuano a darli nella personalissima versione di pop punk che abbiamo ascoltato nell’ultimo album e che rivorremmo nel prossimo full length.