Jetty Bones intervista

Jetty Bones: “Ho sorriso e ballato nel pieno dei miei pensieri suicidi” – Intervista

di Michela Rognoni; traduzione di Ilaria Collautti

Jetty Bones è indubbiamente uno dei progetti di punta del 2021 per Rise Records, etichetta un tempo conosciuta per il suo roster monotematico metalcore (tanto che si parlava di Risecore) e che da qualche anno ha avviato un ampio programma di diversificazione. Jetty Bones è il nome d’arte di Kelc Galluzzo, artista originaria dell’Ohio, già vista all’opera con ben tre EP pubblicati fra il 2016 e il 2019. Push Back è però il suo album full length di debutto; un disco sul quale Galluzzo non ha paura di spaziare fra generi diversi come l’alternative rock, il country e il pop sperimentale, affrontando al contempo una serie di tematiche anche piuttosto “pesanti” relative al benessere mentale e alla depressione, pur sulla base di un sound generalmente allegro.

Hey Kelc! Siamo contenti di poter scambiare quattro chiacchiere con te, come stai?

Sinceramente? Ho avuto alcuni mesi in cui pensavo “tutto ciò che può andare storto andrà storto”, ma rimango ottimista perché ho appena programmato il mio appuntamento per essere vaccinata. Questo mi ha, ancora una volta, fatta aggrappare saldamente alla speranza che i concerti e i tour possano tornare prima o poi. Siamo tutti più che pronti per quando sarà possibile, no?

Parliamo un po’ di Push Back, il tuo album di debutto. Personalmente l’ho trovato fresco e super chill, anche se i testi esplorano alcuni temi profondi e spesso oscuri; come hai trovato l’equilibrio?

Penso davvero che l’equilibrio sonoro che il mio produttore John Fields e io abbiamo creato sia la dimostrazione artistica di come queste emozioni contrastanti possano essere gestite nella vita di tutti i giorni. Nulla vieta di sembrare positivi anche quando si stanno affrontando dei problemi pesanti. Nulla vieta di ridere quando ti svegli in lacrime, ma nulla vieta nemmeno di continuare a vivere all’interno di qualunque cosa ti stia trascinando verso il basso finché non capisci come farti strada per uscirne. Una volta mi preoccupavo del fatto che le canzoni potessero non trasmettere il modo in cui mi sentivo quando le ho scritte, ma con questo disco mi sono resa conto che una grande parte dei miei problemi riguardanti il benessere mentale risiede nella positività esteriore che la mia personalità emette. Probabilmente riderò nei miei giorni peggiori. Ho sorriso e ballato nei periodi in cui i miei pensieri suicidi erano molto forti. Volevo davvero che la mia musica riflettesse tutto ciò e penso che questo disco lo faccia.

Anche dal punto di vista sonoro c’è un mix di elementi presi da una varietà di generi che, alla fin fine, ci danno dei brani piacevoli e davvero orecchiabili; raccontaci di più su come scrivi e quali sono le tue influenze.

Sembra un cliché da musicista dire che ascolto ogni genere, ma lo faccio davvero. Mi faccio guidare dall’idea che si possa curare una colonna sonora e creare un’esperienza di vita più cinematografica mettendo la canzone perfetta in sottofondo. Ricordo che quando ho iniziato questo progetto, ho detto che volevo essere in grado di pubblicare una canzone di qualsiasi genere senza sorprendere nessuno, volevo che la gente pensasse semplicemente “Ah, sì… è una cosa che è nelle corde di Jetty Bones”. Ero rimasta un po’ inquadrata all’interno del genere delle band con cui stavamo andando in tour e mi ero dimenticata che in realtà voglio solo pubblicare qualsiasi tipo di arte mi venga spontaneo creare. Io attraverso varie fasi molto specifiche, in cui ascolto un sacco di pop ricollegandomi poi alle band hardcore DIY che mi hanno portata nella mia scena musicale, andando poi a rapper indipendenti, a musica degli anni ’80 o persino alla vecchia musica country che mia madre ascoltava quando pulivamo la casa il sabato. Scrivo continuamente, e la varietà costante di musica che ascolto gioca decisamente un ruolo su ciò che mi influenza in quei periodi. Potrei provare a cambiare il sound per renderlo più coeso, ma voglio usare la mia arte come un’onesta espressione di ciò che sono e dove sono. A volte invece mi capita semplicemente di ritrovarmi risucchiata da un genere.

Scegli una canzone e dicci qualcosa che dobbiamo sapere al riguardo.

Scelgo Bug Life. La maggior parte delle persone ormai sa che era stata originariamente scritta come suicide note durante i primi giorni della creazione di questo progetto. Non molte persone sanno però che non abbiamo ri-registrato la canzone: è la stessa traccia che avevo registrato la sera in cui ho deciso che volevo farla finita. È stata masterizzata specificamente per l’album, ma non è stata toccata ulteriormente. Un altro aspetto importante di questa canzone, probabilmente il più importante per me, è che non ho deciso di condividerla per ergermi a faro di luce o ispirazione: il mio più grande intento nel condividere la mia suicide note era mostrare alle persone che sono umana quanto chiunque altro. Volevo restituire qualcosa che altri mi avevano detto di aver ricevuto da me: incoraggiamento, gratitudine, un sentimento di connessione e molto altro ancora. Volevo solo che le persone capissero da che esperienze venivo prima di valutare chi sono adesso, perché la persona che sono ora è arrivata a un punto in cui ha quasi smesso di vivere… e probabilmente avrebbe proprio smesso, se non avessi avuto il supporto che mi è stato dato. Non ci sono abbastanza modi al mondo per ringraziare per questo.

Torniamo al tema della salute mentale, che per certi versi è “dominante” in tutto l’album. Volevo ringraziarti per aver parlato di questi argomenti. Sento che ammettere di non stare bene e chiedere aiuto è ancora visto come una sorta di stigma / tabù nella nostra società.

Ci ho pensato molto ultimamente: è davvero stigmatizzato come pensiamo, o abbiamo “semplicemente” difficoltà a trovare il modo in cui parlarne? La pressione innata che proviamo per avere tutto e subito è ancora presente, ma penso che abbiamo fatto passi da gigante nell’ultimo decennio quando si tratta di riconoscere la stragrande maggioranza dei problemi di salute mentale esistenti (anche se alcuni che sono meno comuni stanno ancora cercando di recuperare il ritardo quando si tratta di consapevolezza). Il mio pensiero è questo: abbiamo imparato che va bene provare e sentire certe cose, anche se spesso ce ne dimentichiamo perché la depressione e l’ansia amano trarci in inganno. Non ci siamo però mai occupati di educare le persone a come rispondere quando qualcuno si apre con loro. Abbiamo fatto molti progressi quando si tratta di normalizzare l’esistenza di problemi di salute mentale, ma dobbiamo spostare l’attenzione sulla normalizzazione delle risposte positive e delle conversazioni con le persone in difficoltà. È più facile a dirsi che a farsi perché ognuno ha bisogno di un tipo di supporto personalizzato. Mi sto dilungando troppo, quindi per sintetizzare: il prossimo passo è imparare a chiedere alle persone come possiamo supportarle adeguatamente durante le loro battaglie, capendo che probabilmente sarà difficile per loro rispondere. Il riconoscimento non è sufficiente, dobbiamo applicare attivamente pazienza e sensibilità.

Come ti senti per tutto questo anno senza concerti né tour?

Mi trovo in una posizione strana. Probabilmente avevo bisogno di una pausa che non mi sarei mai permessa di prendermi se il mondo non mi avesse costretta a farlo, quindi in un certo senso sono grata per questo. Avevo bisogno di tempo per prepararmi emotivamente e mentalmente a discutere del contenuto di questo nuovo disco, cosa che ho sicuramente ottenuto. Comunque non sono arrivata al punto di sentire che la vita che avevo prima fosse una sorta di brutto sogno che si è presentato con l’unico scopo di rendere la mia vita quotidiana insopportabilmente banale. Questa frase è la spiegazione più completa che mi viene in mente per descrivere la situazione e penso che renda giustizia alle emozioni principali che sento in merito. Se devo dirla in modo meno pretenzioso, beh… è una situazione che fa schifo. Quando sono a casa non faccio altro che lavorare, così posso permettermi di andare in tour. Ho passato gli ultimi anni a coltivare i rapporti che ho con la mia “tour family”, mentre quelli con i familiari che avevo a casa si sono lentamente dissipati. Molti musicisti in tour si sentono allo stesso modo: abbiamo lavorato duramente per così tanto tempo al fine di costruirci l’opportunità per fare tutto questo, e ora “questo” non esiste. È una prospettiva che penso che le persone abbiano davvero bisogno di cercare di capire… ci sono così tanti artisti che hanno lavorato per tutta la vita per essere in grado di fare un lavoro che ha smesso di esistere. Darei qualsiasi cosa per respirare il sudore di centinaia di altre persone e dormire nel retro di un furgone. Magari stanotte vado a dormire nel retro del mio furgone, solo per provare quell’ebbrezza.


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