New Music Friday: No Pressure
NO PRESSURE: QUANDO I THE STORY SO FAR INCONTRANO I (PRIMI) BLINK
DI SIMONE DE LORENZI
È il 2020 e il pop punk si trova al termine di un periodo particolarmente sterile: svanito l’afflato rinnovatore del revival di metà decennio, sembrano essersi esaurite tutte le cartucce creative a disposizione degli artisti, e sui “puristi” della scena incombe minacciosa l’ombra delle contaminazioni di stampo emo/trap. Ma ecco che dagli USA arrivano i No Pressure a fornire una timida ma potente spinta in direzione di sonorità “vecchia scuola”, che tentano di riesumare l’hardcore (in parte) melodico degli anni novanta, sotto l’egida piuttosto evidente di un certo trio californiano.
Dalla loro apparizione, i No Pressure sono stati considerati solamente come il side project di Parker Cannon dei The Story So Far, ma i giusti meriti vanno resi anche al chitarrista Pat Kennedy (che nei Light Years è anche il cantante) e al batterista Harry Corrigan (provenendo dalla band hardcore Regulate è quello che spinge sul lato più aggressivo).
Come spesso accade ai supergruppi, i No Pressure hanno convinto fin dalla prima canzone, riappacificando i fan dei TSSF nostalgici delle atmosfere più grezze contenute nei primi album e guadagnandone di nuovi all’interno della scena core. E “nessuna pressione” è un nome azzeccato per questa band, perché sostanzialmente fa musica che le piace e sembra divertirsi parecchio, come ha dimostrato anche live a Bologna.
No Pressure: il full length d’esordio
Dopo l’omonimo EP con cui si erano presentati sulle scene, i No Pressure risparmiano sulla fantasia e intitolano allo stesso modo il full length d’esordio. All’interno dell’album, uscito il 1° giugno (nel 23esimo anniversario di Enema of the State, fanno notare dall’Internet), l’impronta alla The Story So Far non è scomparsa, ma l’attitudine HC che sottostava a Under Soil and Dirt e What You Don’t See ora sembra trovare un proprio spazio autonomo: sono tracce brevi, veloci e cariche, che spingono sull’acceleratore dei suoni ruvidi, memori dello skate punk dei ’90s, senza per questo sacrificare il lato melodico.
Nel complesso si sentono parecchio le influenze dei blink-182, chiaramente pre-Matt Skiba: vedi gli omaggi assolutamente scoperti nelle intro di Save Your Spot, che riprende il riff di Here’s Your Letter, e One Way Trip, che rimanda a All the Small Things. L’album si fa ascoltare volentieri dall’inizio alla fine (e anzi, forse da un ascolto completo guadagna in compattezza e coerenza): una traccia trascina l’altra e si arriva rapidamente in fondo; mettendo al bando qualsiasi tipo di fronzoli, No Pressure è diretto e giunge subito al punto.
Il concerto a Bologna
Pause superflue non ci sono state nemmeno durante il loro concerto nell’intima e sudata venue del Freakout Club a Bologna, che si è svolto come da previsioni: in un vortice ininterrotto di mosh, circle pit e stage diving si è consumato un set non lunghissimo ma intenso, in cui è stata esplorata quasi tutta la discografia della band statunitense. A confermare la stima dei No Pressure per Tom DeLonge e soci, anche in questa tappa italiana del tour si sono concessi ben due cover dei blink: Roller Coaster e Carousel – e i presenti hanno apprezzato. Da sottolineare la performance di Parker Cannon, che ha continuamente fomentato il pubblico e non si è sottratto a tuffi dal palco e poghi, confermando una presenza scenica più che entusiasta.
Benché potesse essere difficile mantenere sulla lunga distanza la stessa consistenza dell’EP, con quest’album d’esordio i No Pressure ci sono riusciti egregiamente. C’è già chi li preferisce ai The Story So Far, ma non è necessario vedere i due gruppi in competizione: quello che ci auguriamo, nell’attesa che ritornino a farci visita, è che non restino un esperimento provvisorio.