Still Not Getting Any… resta il capolavoro dei Simple Plan
di Simone De Lorenzi
A vent’anni dalla sua uscita, Still Not Getting Any… rimane il capolavoro dei Simple Plan.
Il disco esce, come l’esordio No Pads, No Helmets… Just Balls (2002), per Lava Records, label sotto Universal: una major, marchio dolceamaro che farà storcere il naso a più di un purista.
Ma ormai siamo in un periodo d’oro per la popolarità della musica alternativa: il 2004 è l’anno, tanto per dire, in cui escono American Idiot, Chuck, Three Cheers for Sweet Revenge, The Chronicles of Life and Death. E anche la band canadese inizia la sua scalata nel territorio del rock mainstream, tra ospitate su MTV e rotazioni radiofoniche.
Leggermente più radiofonico, in effetti, è il sound adottato in canzoni come Promise e One. Si tratta di un punk meno grezzo, che però non rinuncia ad andarci giù pesante (Me Against the World, Perfect World).
A queste tonalità gravi si oppone Jump, con il suo mantra “Don’t wanna think about tomorrow”, che anticipa la direzione più spensierata e aperta alla speranza che la band prenderà nei lavori seguenti. I Simple Plan, comunque, sono ancora lontani dai tempi di Summer Paradise e pare subito chiaro che imbracciano il pop del pop punk con consapevolezza.
Ma le radici melodic punk/alternative degli anni Novanta si sentono tutte: brani come Shut Up! e Thank You fanno capire che guardano ancora alla California e alle rampe da skate, proseguendo gli ottimi risultati dell’album precedente.
Le canzoni migliori sono quelle che mescolano autocommiserazione e accusa, pesanti e delicate al tempo stesso, lacrime di tristezza e rabbia insieme. Crazy è la vera perla dell’album, quella che con il testo più punk colpisce la società e l’umanità delle persone.
Seconda per emotività solo a Welcome to My Life, manifesto degli adolescenti incompresi che eravamo, quando ci sentivamo diversi. I ritmi poi rallentano su Everytime, la ballad romantica, e Untitled (How Could This Happen to Me?), la ballad tragica.
Still Not Getting Any… incanala la rabbia e la frustrazione adolescenziali, la voglia di libertà, la ribellione; esprime la volontà di non conformarsi alle aspettative degli altri, di resistere alle pressioni della massa, di dichiararsi vittime dei fraintendimenti della società.
Iconico come pochi altri, il disco ha anche forgiato un certo immaginario degli anni Duemila: quante volte ci siamo immaginati sopra al tetto di un palazzo altissimo come nel videoclip di Welcome to My Life? E quanto era simile, qualche anno prima, la cameretta del video di Perfect, alla nostra cameretta?
Vent’anni dopo non siamo più adolescenti, ma ci portiamo dietro molte di quelle stesse domande e aspirazioni, la ricerca di un nostro posto nel mondo non si è certo fermata. I Simple Plan ci hanno accompagnato fino ad adesso e non smetteranno di farlo.