The Darkest Place I’ve Ever Been by LANDMVRKS - Recensione

The Darkest Place I’ve Ever Been by LANDMVRKS – Recensione

di Marta Pavani

I LANDMVRKS sono tornati con il loro quarto studio album, The Darkest Place I’ve Ever Been, pubblicato il 25 aprile per Arising Empire, e questa volta sembrano decisi a prendersi tutto.

Un disco che ha faticato non poco a vedere la luce, come raccontato dal vocalist Florent Salfati in una recente intervista. Questa volta l’ispirazione è arrivata con fatica, dando il via a un blocco creativo che ha avuto gravi ripercussioni sull’artista, spingendolo in uno stato depressivo.

Quel momento buio, però, si è rivelato il punto di partenza per definire la direzione del nuovo lavoro: trasformare quel dolore in musica, riversando le difficoltà vissute in un album che, già dal titolo, si fa carico di quell’oscurità.

The Darkest Place I’ve Ever Been è l’intro che ogni album dovrebbe avere: trenta secondi di tranquillità interrotti da uno scream così improvviso che viene il dubbio di essere passati erroneamente alla traccia successiva. Insomma, un brano che chiarisce da subito il tono di ciò che ci aspetterà.

Arriva poi Creatures, che insieme a Blood Red rappresenta la vena più melodica dell’album. Le incursioni hip hop in francese si integrano perfettamente con gli elementi distintivi del metalcore. Scream graffianti e breakdown decisi sfociano in ampi ritornelli catchy, dove la versatilità della voce di Flo risalta ancora di più.

Complice il featuring con Mat Welsh e gli While She Sleeps, A Line In The Dust si conferma una vera mina per i LANDMVRKS. Uscito precedentemente come singolo, il brano non ha nulla fuori posto: riff affilati, struttura compatta e intensità costante. Nessuna sbavatura, solo metalcore allo stato puro, scolpito con precisione chirurgica.

A seguire troviamo la quinta traccia del disco, Sulfur, che ci inghiotte in un muro di suono imponente, dove la batteria martellante è la protagonista assoluta. La tensione che pervade tutta la traccia si dissolve solamente nei ritornelli, dove l’atmosfera si fa più leggera, quasi onirica.

L’interlude Sombre 16, interamente rappato, ci concede una breve boccata d’aria prima di farci risprofondare, dopo appena un minuto e dieci, nel vortice del tornado.

Con The Great Unknown la mente vola subito ai Linkin Park di Faint – inquietante come, a tratti, la voce di Salfati ricordi davvero quella di Chester. La stessa impronta linkin-parkiana, questa volta più vicina ai suoni grezzi di Hybrid Theory, riaffiora potentemente anche in un altro pezzo del disco: Deep Inferno.

Segue La Valse Du Temps, il brano più lungo dell’album: cinque minuti e ventisei in cui veniamo trascinati in un viaggio tortuoso, ma al tempo stesso profondamente catartico. Un alternarsi di strofe urlate con ferocia e sezioni più distese, che riflettono – tanto nei suoni quanto nel testo – la parte più fragile e tormentata del cantante. Versi come “The hourglass stopped ticking, now the silence is too loud / The hand is broken and I’m losing track of time / How to find my place between the future and the past / In the torment of the waltz of time” e la domanda “Am I broken inside?” raccontano quell’inquietudine viscerale, rendendo questo pezzo, con ogni probabilità, il più intenso dell’intero album.

Amanti dell’headbanging, Requiem fa al caso vostro: una traccia arrabbiata, dove regnano growl e scream a pieni polmoni. Ma proprio quando l’intensità sembra non voler cedere, tutto sfuma in una chiusura rarefatta, che ci culla delicatamente verso Funeral, ultima traccia dell’album. Un brano acustico, solo piano e voce, in cui la timbrica spezzata di Salfati si fa protagonista, regalandoci un finale intimo ma amaro.

Se con il precedente lavoro Lost in the Waves la band marsigliese era riuscita a ritagliarsi uno spazio tra i grandi della scena, è con The Darkest Place I’ve Ever Been – album solido, maturo e consapevole – che si consacra definitivamente come tale.

Nonostante il margine di sperimentazione ridotto rispetto al disco precedente, la scelta di muoversi su un terreno già collaudato si rivela tutt’altro che limitante, perché è proprio lì che i LANDMVRKS dimostrano di saper brillare.

TRACKLIST

  1. The Darkest place I’ve Ever Been
  2. Creature
  3. A Line In The Dust feat. While She Sleeps, Mat Welsh
  4. Blood Red
  5. Sulfur
  6. Sombre 16
  7. The Great Unknown
  8. La Valse Du Temps
  9. Deep Inferno
  10. Requiem
  11. Funeral

Vi ricordiamo che vedremo i LANDMVRKS sul palco dello Slam Dunk Italia il 2 giugno a Carroponte di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Con loro sul palco suoneranno A Day To Remember, New Found Glory, Neck Deep, The Used, The Ataris, Zebrahead, Caskets, Stain The Canvas e Hopsydian. QUI i biglietti.

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